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LANTERNE ROSSE
(DABONG DENGLONG GAOGAO GUA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 settembre 1991
 
di Zhang Yimou, con Gong Li, Ma Jingwu, He Caifei (Cina, 1991)
 
Ancora una Cenerentola, nel mondo dell'ex fotografo di Chen Kaige; ma una Cenerentola, come quelle precedenti di SORGO ROSSO e di JOU DOU che al momento buono tira fuori le unghie.

Una donna. Sacrificata dai costumi, dalla tradizione che progressivamente prende coscienza di qualcosa che sta succedendo attorno a lei. E che accede ad una sorta di modernità: LANTERNA ROSSA è forse il capolavoro a tutt'oggi di Zhang, perché mai, in passato, il suo discorso si era sviluppato con tale chiarezza. Il procedimento è sempre lo stesso: mostrare un individuo prigioniero di un sistema arcaico. Qui, la diciannovenne Songlian che per sopravvivere accetta di diventare la concubina di un potente capoclan, che di mogli ne ha già tre (siamo nel 1920). Come sempre l'autore ci mostra l'ingranaggio del sistema, con una precisione quasi documentaristica. In SORGO ROSSO erano i costumi rurali, in JU DOU quelli artigianali di un tintore: qui la meccanica è quella - osservata in modo che dapprima non disdegna intelligentemente il tono satirico - del concubinaggio.

Da questo tipo di ricostruzione minuziosa della realtà Zhang passa come sempre alla stilizzazione, all'astrazione: la prigione dorata di Songlian - una sontuosa dimora antica nella quale ogni concubina abita un'ala geometricamente ritagliata, nella quale le lanterne del titolo si accendono quando il padrone decide di passare la notte da una piuttosto che dall'altra, dove le volute sinuose dei tetti avvolgono con sempre più angosciosamente il labirinto umano che dovrebbero invece celare - si costruisce in una straordinaria, trascendente struttura portante. Quasi un altro racconto - più eterno, universale, significativo - all'interno dell'aneddoto trattato: una struttura che sembra nascere da una seconda dimensione spaziale, coloristica, musicale. Ed ovviamente - poiché il cinema si costruisce sulla qualità di uno sguardo - morale.

LANTERNA ROSSA diventa cosi un film sulla presa di coscienza, quando l'emancipazione è impossibile. Ma, prima ancora sulla constatazione dei danni del potere, sulla perversione della cospirazione: spinte dal potere assoluto istaurato dal padrone le donne sono costrette non soltanto a lottare fra di loro, a sopraffarsi a vicenda prescindendo da ogni casta sociale, o educazione, o morale. Peggio ancora: sono costrette ad accettare che dentro di loro venga ad insinuarsi lo stesso genere di perversione.

Zhang Ymou sembra, con questo film, essersi liberato da certe tentazioni nei confronti del Bello: non c'è una sola fra le sopraffini immagini del film ad essere inutile. Tutto sembra concorrere a fare di questa leggenda cosi remota un film di straordinaria attualità, una parabola chiarissima e struggente sul mondo che ci circonda. Come quelle mura seducenti, quei tetti avvolgenti, quelle sete, quegli ori, quei costumi d'ineffabile educazione e duplicità, all'interno dei quali tutta la miseria, la sopraffazione, la disperazione di una condizione umana sembra esplodere con decuplicata violenza.

LANTERNA ROSSA è uno tra i più bei ritratti femminili che il cinema ci abbia offerto: proprio perché non concede nulla - con indulgenza, con falsa condiscendenza, con quella che una volta si ammantava di cosiddetta cavalleria - al sesso discriminato. Più colta, più intelligente, più giovane, più bella, più cosciente delle altre, Songlian non è per questo più forte delle altre: e contro ogni aspettativa, dello spettatore, delle sue rivali stesse, finirà distrutta dalla vicenda. Per la semplice ragione che è la sua condizione stessa di donna ad impedirle di essere più forte del sistema.


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